Gettare la maschera

Come gli attori, accorti a non fare apparire l’imbarazzo sul volto, vestono la maschera, così io, sul punto di calcare la scena del mondo, dove sinora sono stato spettatore, avanzo mascherato.”

Cartesio, 1° gennaio 1619.

Un virus – ora – avanza mascherato. 

Ottanta su cento non produce alcun sintomo che tradisca la sua presenza, ma non procede da solo.
Cos’altro avanza mascherato?
Volti mascherati di carta e di stoffa prodotte in massa avanzano per soddisfare un’esigenza planetaria.
Volti che indossano maschere sulla bocca, maschere “salvavita”, che preparano la fase due.

Il “sistema” è in ginocchio e non possiamo più fare affidamento su di lui; la responsabilità appartiene a ciascuno e a tutti.
E se non potesse più soddisfare i nostri bisogni?
E se lo Stato scoprisse di non avere più i mezzi per compensare le perdite economiche? 

Di fronte al caos europeo, monta lentamente la tentazione che solletica le radici della società civile, delusa dai suoi rappresentanti politici, stanca delle sue istituzioni democratiche, annoiata dalla troppa libertà.

E se l’immaginario così preparato, riconoscesse nel modello cinese una opzione possibile?
Modello efficace, capace di costruire un enorme ospedale a tempo di record…, capace di mostrare autorità, di far funzionare l’economia, di mettere a tacere i parassiti sociali… 

Utopia, follia o distrazione? 

In ogni caso stiamo accettando il confinamento, il distanziamento sociale, il tracciamento: tutto in nome della salute.
La nostra vita è in gioco.
È per salvare le nostre e le vite degli altri: molte vite.
È per evitare il contagio e la contaminazione, che si obbedisce! 

Certamente, non sto invitando alla disobbedienza.
Non parlo per invitare la gente ad andare in giro senza maschere, uscire per uscire, ignorando le direttive del governo, tanto meno per stigmatizzare la Cina come nazione.
È la “cifra” simbolica che mi interessa. 

Per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale i popoli d’Europa stanno sperimentato una limitazione fuori dal comune della loro libertà.
Se per un puro esperimento ideale mettiamo tra parentesi per dieci secondi il fattore sanitario, non possiamo che sorprenderci della facilità con la quale abbiamo accettato il confinamento nelle case e il coprifuoco nelle uscite per bisogni essenziali.

Mi viene da chiedere: eravamo forse stanchi della libertà?
Come se il tempo trascorso dal 1945 ad oggi avesse esaurito i frutti del campo delle nostre libertà e del loro esercizio?
Ci siamo forse annoiati della libertà?
Qualcuno sostiene che siamo come in guerra; come al solito i più non avevano alcuna intenzione di entrare in conflitto.
Ci siamo solo arresi, o meglio, abbiamo capitolato anticipatamente. 

Una vittoria “nascosta”? Di chi? Del virus?
No, di un’ideologia che ci ha conquistato dall’interno, pazientemente, nutrendo abilmente la nostra sete di consumo insieme ai nostri bisogni di base.
Quando cadranno le maschere, capiremo.
Sarà troppo tardi?
Larvatus prodeo.” – può dire il virus e il popolo mascherato.
Tutti conquistati? O tutti vincitori?
Ahimè, tutti conquistati.


Ma chi difenderà allora la libertà, la dignità dell’individuo e l’esistenza della persona?
Non ci vorrà un discorso – comunque già squalificato in partenza da ciò che abbiamo vissuto. Ci vorrà qualcosa capace di galvanizzare l’immaginario collettivo. Si badi che l’esempio del regime cinese colpisce l’immaginario – consenziente – oggi. 

Ma…attenzione! Dovremo vedere una comunità libera, esercitare la libertà, esemplificare la dignità, praticare il libero consenso, rispettare la pluralità di pensiero, capace di generare vera fratellanza, quella fratellanza che viene all’opposto proprio sospesa dall’uguaglianza fra tutti

E allora? Dove troveremo il modello?
Modello che non può essere quello della Cina, per ragioni più che solo autenticamente culturali. E lo dico nel pieno rispetto delle tradizioni millenarie di quella nazione geograficamente così lontana da noi.

In Europa, il modello lo troveremo là, dove hanno germinato le idee guida gradualmente stratificate e sedimentate nelle nostre istituzioni.
Là dove il “comunismo”, quando non è ideologia, riconosce di dover trasformare il suo nome in “bene comune.” Un governo dove tutto è realmente messo in comune, gratuitamente, secondo un principio non di scambio ma di donazione. Perchè ciascuno abbia secondo i propri autentici bisogni e dia quello che sa dare.
Utopia, follia o mera mia distrazione, scrivere così in questi giorni di preparazione all’aratura del campo?

Dove si può attuare questa democrazia del bene comune?
In un “popolo”, quello che costruisce il Regno pazientemente con la tolleranza, giorno dopo giorno. 

Alla fine dell’epidemia, “il mondo non sarà più come prima” leggiamo ripetutamente, né la nostra relazione con il mondo, la società, la natura, la salute, e tanto altro.
Forse. Ma se vogliamo prendere in considerazione il futuro, cominciamo prendendo le distanze dalla tentazione che solletica le radici della società civile, davanti al caos provocato da un governance logora e stanca. 

Di fronte all’incerta configurazione che si profila davanti a noi, non mettiamo in sordina le indicazioni di Papa Francesco e della sua insistenza sulla sinodalità. Non oscuriamolo con troppe messe in streaming e su youtube francamente non sempre necessarie.
Dobbiamo trovare un modello alternativo alle dittature politiche ed economiche, non rivendicare per forza la visibilità del nostro piccolo orto. 

In questo tempo pasquale e di corona – di spine – non si può continuare a far finta di ignorare gli Atti degli apostoli e il ritornello “mettevano ogni cosa in comune … secondo il bisogno di ciascuno…”
Le orecchie per ascoltare e gli occhi per leggere le hanno tutti! O si dovrà ancora dire proprio dei pastori della chiesa che non odono e non vedono?

La Chiesa, ritorni ad essere testimone di libertà! Di quella libertà cui insensibilmente abbiamo già cominciato a fare a meno. 

Restiamo testimoni consapevoli senza paura – come si è nel Corpo del Cristo – che questa testimonianza può essere pagata solo correndo il rischio di un nuovo confinamento: quello dei cristiani credenti.
Perché la sinodalità, la condivisione dei beni, sono idee rivoluzionarie, come la terra che gira attorno al sole! E non piacciono a chi è schiavo del denaro.

Volti che avanzate mascherati, è ora di gettare la maschera!

Pubblicato da Oliviero Verzeletti

Missionario Saveriano. Nato a Torbole Casaglia (BS). Cittadino del mondo, attualmente residente in Italia, a Roma dopo diversi anni trascorsi in Camerun.

2 pensieri riguardo “Gettare la maschera

  1. Mi piace quest’articolo! Chissà quando si arriverà a gettare le maschere! Una sola riflessione: forse abbiamo obbedito facilmente al confinamento non tanto per paura del virus, quanto perché la norma che dispone il confinamento è severamente sanzionata.

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    1. non voglio immaginare che il rispetto della legge sia dovuto alla paura della punizione, preferisco pensare che discenda dalla bontà della legge di tutelare la comunità, e in essa i più fragili e vulnerabili, mettendo anche me in condizione di farlo come è mio “mestiere”… i decreti del governo sono ora un tentativo di arginare una situazione, cui nessuno era preparato e contano sul buon senso dei cittadini. Si appalesa un dato di fatto: nel suo insieme l’attuale sistema, non solo italiano, non è capace di salvaguardare la salute dei suoi cittadini – la vita dei suoi cittadini – che sono chiamati a pagare il prezzo dell’isolamento… e delle multe, quando aspettano ancora tamponi e test. Chi dovrebbe pagare la multa?

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