Le caricature non piacciono a tutti. Se riguardano temi religiosi, tra i fedeli piacciono ancor meno. Non voglio entrare nella complessità del dibattito sulle caricature, sugli sberleffi, sulle prese in giro in generale. Le religioni, tutte, offrono spesso il fianco ai carticaturisti.
A proposito! In margine alle diverse performance trasmesse al recente Festival di San Remo 2021, una in particolare ha suscitato commenti anche di prelati che la sanno lunga, e che hanno parlato di esibizione caricaturale e blasfema, per concludere con una ferma presa di distanza, se non con un’esplicita condanna. Non è una novità: stessa cosa era accaduta nel 2020 al povero Benigni con l’interpretazione del Cantico dei Cantici. Sarà una nuova abitudine? Ma no!
Le prese in giro sulle religioni sono frequentissime, non occorre aspettare il Festival di San Remo.
La quaresima è finita; è iniziata la settimana santa e venerdì ci sarà la via crucis, con la morte in croce, e, come nel giorno delle Palme, la lettura di tutta la passione, cioè del cammino che porta alla croce. Fine del piccolo ripasso.
La croce è un fatto fondamentale per i cristiani: il Cristo ha assunto la caricatura che gli è stata fatta, per renderla un luogo paradossale di vittoria. I cristiani hanno preso come insegna della loro fede l’oggetto stesso della derisione inflitta all’uomo: la croce.
La croce è beffarda, annuncia la punizione, il castigo, la bassa estrazione del condannato; porta sarcasticamente in cima il motivo della condanna: “Gesù il Nazareno, re dei Giudei”. La croce indica un luogo in cui si può venire a ridere impunemente: “Salvati”, “Scendi da lì”, canticchiano gli imbecilli di ogni tipo all’indirizzo del crocifisso. La croce è una caricatura; con le sue grandi braccia e la sua gamba troppo lunga, è la parodia del corpo; porta la carcassa pesante e ferita di un uomo che ha dovuto in precedenza, ironia della sorte, trasportare se stesso. Rappresenta tutta la buffoneria omicida che possiamo immaginare: la corona di spine che fa di Gesù un re deriso e perciò derisorio, gli insulti dei soldati che hanno vestito Gesù con un mantello grottesco, le false riverenze accompagnate da percosse, la parodia del processo, le menzogne.
Il pensiero cristiano fin dai primi secoli è andato nella direzione di caricare ancora di più la caricatura per sovvertirla.
La croce che ridicolizza – e che fa vergognare – è chiamata scettro del re, trono del trionfante, sede della giustizia, albero della vita, albero della conoscenza, bandiera della vittoria, trofeo glorioso, unica speranza e tanto altro ancora. La scritta “re dei Giudei”, voluta per sbeffeggiare Gesù, è ripresa nella liturgia come confessione di un credo irreprensibile: è vero! Gesù è il re, figlio di Davide, e la sua croce è il germoglio del tronco di Jesse, padre di Davide, da cui era già stato scritto dovesse nascere il salvatore di Israele.
Caricatura, sadico sarcasmo, umiliazione, derisione: nulla di tutto ciò è evitato, ma tutto è assunto e trasfigurato dall’interno. Per i Romani che ascoltarono i primi cristiani rivendicare la croce di Cristo come un distintivo di vittoria, era una questione indecente. Dicevano (loro) che i propositi dei cristiani erano blasfemi, che i cristiani erano mangiatori di bambini! Avere la sfrontatezza di pretendere che la croce, oggetto di giustizia e umiliazione legale, potesse essere cantata e magnificata come oggetto di venerazione, era folle, impensabile, insopportabile, obbrobrioso.
In sintesi tutta la materia del contendere veniva capovolta: erano i cristiani a passare per impudenti caricature della vita, perché assumevano senza complessi, come “causa di gioia”, ciò che è previsto assolutamente e solo per disonorare.
Il fatto è che, a parer mio, riprendere questa caricatura come emblema di gloria è una ironia profonda, un umorismo teologico che fa tornare indietro la morte. La fede dei cristiani si basa su questa certezza: nulla può diminuire un essere umano. La “carne” per quanto debole, calpestata e disprezzata è IL luogo da cui rinasce la vita più forte di ogni altra cosa.
Quindi i cristiani non hanno paura delle caricature.
Si può fare una caricatura di Cristo?
Ma è già è stato fatto! Ed è stata assunta al punto da diventare l’espressione stessa della fede. La croce, il corpo torturato, le menzioni beffarde della regalità si ripetono nel tempo, si moltiplicano , sono perfino affermate come vere, benvenute. Perché rendono ancora più manifesta l’esatta affermazione di ciò che stiamo dicendo da 2000 anni: il Cristo è il re del popolo santo!
E questo crea tanto risentimento e tanta gelosia … tanto che, nei casi più tristi, chi nutre risentimento verso il divino vorrebbe impossessarsi perfino della sua immagine e della sua rappresentazione per prenderne il posto.
Non pretendo di rispondere a tutto ciò che si può dire sulle caricature di Cristo e della religione cristiana. Voglio solo dire che un cristiano non dovrebbe aver paura di disegni burleschi, di “quadri” o di parole irriverenti.
Cristo è più forte e probabilmente ride dei ridenti e trasfigura gli oltraggiosi per manifestare l’eccesso della sua vita gloriosa.
Ciò non significa che tutto debba essere accettato e applaudito indiscriminatamente, ma aiuta a sviluppare un certo stile, un modo di essere: non gridiamo ad alta voce, non chiediamo sempre di essere protetti da coloro che dicono cose che ci suonano villane!
E, soprattutto, chi siamo noi per giudicare?
Bisognerebbe imparare a vivere anche la derisione, la caricatura e il disprezzo; le parole che vogliono uccidere, disprezzare, prendersi gioco di qualcuno possono diventare occasione di vita.