Verso una definizione impossibile?
Psicoanalisti e psicologi, studiosi dei processi creativi, hanno costruito molte definizioni di creatività; qui ne riporto un paio per me particolarmente interessanti:
“La creatività artistica crea nuove forme comunicabili, attraverso le quali vengono trasmessi anche nuovi contenuti dell’esperienza. In entrambi i casi devono essere liquidati vecchi stereotipi di pensiero, di forma e di esperienza, per essere riorganizzati in maniera significativamente nuova. La persona creativa dev’essere anche capace di riconoscere la giusta soluzione. Come dicono Jackson e Messik, la soluzione nuova dev’essere ‘tanto in accordo con se stessa, quanto concordemente integrata in un sistema più ampio’. In questo senso una fuga o un quadro possono essere giusti o sbagliati, rispetto alle categorie immanenti cui appartengono, così come potrebbe esserlo un’equazione matematica.” (Müller-Braunschweig, 1978).
Da questa definizione emergono cinque informazioni interessanti riguardo al pensiero dell’autore:
- La creatività in sé è innanzi tutto una capacità personale in campo artistico.
- La forma della produzione è comunicabile.
- Il buon esito del processo creativo è connesso alla capacità personale di liquidare alcuni aspetti del preesistente.
- Il soggetto creativo ha la capacità d’individuare il nuovo
- Il soggetto creativo ha la capacità di trovare la soluzione “giusta”
- Il soggetto creativo integra il nuovo nell’antico in un sistema più ampio.
- Il prodotto finale potrebbe essere “giusto” o “sbagliato”, in base ad una qualche valutazione, presumibilmente basata sulla verifica (o la falsificazione, avrebbe detto Popper) di altri esperti.
La seconda definizione, diciamo così più aperta, approfondisce il tema con finezza:
“Per creare il mondo, che noi definiamo umano, alcuni individui devono avere il coraggio di liberarsi dai legacci della tradizione. Per prima cosa devono sviluppare metodi per fissare nuove idee o esperienze che offrano un miglioramento rispetto all’esistente. Infine, devono trovare la maniera, per trasmettere il nuovo sapere alla generazione seguente. Consideriamo creative le persone, che prendono parte a questo processo. Essi hanno creato, ciò che noi chiamiamo cultura. Non c’è dubbio che il genere umano non potrebbe sopravvivere né oggi, né in futuro, se la creatività fosse rinnegata.” Queste sono parole di Csikszentmihalyi, lette su un libro che non riesco più a trovare, più o meno nel 1995, se ben ricordo.
La componente del nuovo viene osservata qui da un triplice punto di vista: del contenuto, del metodo e della possibilità di trasmissione transgenerazionale. In altri termini esiste una dimensione di rilevanza culturale e uno statuto identitario collettivo del significato di questa rilevanza. Tecnicamente si suole fare riferimento a questa realtà di fatto, utilizzando i concetti di “campo” e di “dominio”. Non sfuggirà ad alcuno come questi concetti abbiano messo così profondamente le loro radici nel nostro modo di pensare, da richiedere una certa, diciamo così, revisione in forma di massiccio ampliamento dell’orizzonte, ma questo lo vedremo più in là.
Vorrei ricordare che il termine creatività è in sé generico: per essere creativi non è necessario esprimersi nel campo dell’arte; esiste una creatività quotidiana, una certa originale flessibilità in diversi settori della vita, che rappresenta sicuramente un traguardo cui tendere, e che viene considerata oggi indice primario di salute psicofisica.
Alcuni studiosi di psicoanalisi, per apparentemente logica conseguenza, si sono occupati d’indagare quali siano invece le caratteristiche del “genio”, per saperne di più sulla “normalità”, occupandosi per esempio di Shakespeare, Goethe, Newton, Freud, Einstein e così via.
Lo scopo, immagino e spero, sarà stato quello di distinguere – oggettivandole – le qualità del “genio” da quelle del “creativo di tutti i giorni”, per rendere più efficace l’eventuale cura. In questi casi corre l’obbligo di precisare che i confini tra le due categorie di esseri umani non risultano ben definiti…
Ecco: questi studi sui “grandi”, per quanto ben condotti e affascinanti, a mio parere, sono perfettamente inutili e anche fuorvianti; non è scontato che lo studioso-indagatore abbia tutte le capacità per indagare il “genio”. Potrebbe. Ma non è detto! E forse, se le avesse, farebbe dell’altro…D’altronde sarebbe sciocco pretendere d’indagare l’indagante, a meno di chiudersi in un circolo vizioso e sterile. In fondo anche qui si verifica sempre la stessa condizione a causa della quale i gruppi si scindono in correnti e sottocorrenti, si formano le teorie di Tizio e Caio e ognuno crede di essere più tranquillo e saldo nelle proprie ragioni perché ha trovato il proprio “padre” di riferimento.
Succede ovunque. In tutti i campi. In tutti i domini. In senso lato. Dalle “scuole di psicoanalisi” alle “scuole pianistiche”, dalle “scuole di pensiero” alle “tradizioni artigianali”, dagli “applers” agli “androidiani”, dai “partiti” ai “partitucoli”. C’è sempre qualcuno che, mentre crede di avere più ragione degli altri, sta partecipando al lento e faticoso processo globale di affrancamento dall’ignoranza, ricco di progressi e, purtroppo, anche di regressioni.
I processi creativi sono raramente osservabili, possono essere solo dedotti; ciò che possiamo osservare più frequentemente è il fatto che qualcuno abbia o non abbia la tendenza a produrre qualcosa di nuovo. Molti sono in grado d’intuire la spinta creativa in se stessi e nell’altro, se non propriamente di osservarla. Il bisogno di dare forma al nuovo dev’essere naturalmente presente in ogni essere umano, salvo alcune eccezioni, e deve avere necessariamente a che fare con l’istinto di sopravvivenza. Può rimanere del tutto scollegato dal fatto artistico. Pensateci. Come saremmo arrivati fin qui dall’epoca della clava?
Il prossimo appuntamento di questa rubrica sarà con uno scrittore, che non c’è più, molto famoso, e che ha avuto l’intelligenza e la lungimiranza di lasciarci in prima persona delle chiare informazioni sul realizzarsi graduale del proprio processo di produzione letteraria.
Ora una piccola delucidazione tanto divertente quanto chiara sul termine “campo”, così come viene inteso in psicologia:
Manfred Clemenz
” Feld bezeichnet jenen Bereich, in dem mehr oder weniger kompetenten Experten, über die kulturelle Relevanz einer kreativen Leistung entscheiden: einer mathematischen Formel, einer Erfindung, eines Artikels, eines Romans oder eines Bildes. Geht man nicht davon aus, dass das Feld ausschliesslich aus Idioten besteht, aus inkompetenten oder bösartigen Kollegen, Redakteuren, Kuratoren und Kunsthändlern, so bleibt letztlich kein anderes Kriterium für die kulturelle Relevanz personaler Kreativität als das Urteil dieser community (oder eines Teil derselben), so problematisch und vor allem zeitgebundenen dies auch immer sein mag.”
(M. Clemenz, Psychoanalyse und künstlerische Kreativität, in “Psyche. Zeitschrift für Psychoanalyse und ihre Anwendungen”, Klett-Cotta, Stuttgart, 58(2004),446.)
“Il termine campo indica quell’ambito, in cui esperti più o meno competenti decidono sulla rilevanza culturale di una produzione creativa: una formula matematica, un’invenzione, un articolo, un romanzo o un’immagine. Se non si presume che il campo sia composto esclusivamente da idioti, colleghi incompetenti o maligni, editori, curatori e commercianti d’oggetti d’arte, in definitiva non rimane altro criterio per la rilevanza culturale della creatività personale che il giudizio di questa community (o parte di essa ), per quanto questo possa essere problematico e soprattutto limitato nel tempo.”